LaMario, all’anagrafe Mariolina Simone, è una donna e un’artista dalla schiettezza disarmante. Chi la segue sa bene quanto sia ferma nella sua indipendenza di pensiero. Non si limita ad accettare passivamente le idee altrui; le analizza a fondo e poi espone le proprie opinioni senza filtri. Non si nasconde dietro una tastiera né indossa maschere per compiacere. La sua capacità di critica costruttiva è a mio avviso invidiabile. Non esistono compromessi: non pretende di piacere a tutti, non cerca l’approvazione di nessuno. Sa esattamente cosa vuole e prosegue dritta per la sua strada. È una donna forte e consapevole.
La conosco da anni e, con l’avvento dei social, ho assistito a numerosi “scontri” con i cosiddetti “leoni da tastiera”. Li ha messi a tacere con abilità, senza mai scendere al loro livello. In un momento storico in cui non prendere posizioni nette e l’essere politically correct sembrano le vie più semplici e meno scivolose, LaMario si distingue per la sua autenticità.
La sua personalità si fonde perfettamente con il vero spirito del mondo country, quello autentico e genuino. Un mondo avvolto nel fascino di un’epoca forgiata dalla fatica, dove si narrano sfide estreme, conquiste sudate e sconfitte affrontate con la genuina forza d’animo di uomini e donne integri. Perché la frontiera americana di un tempo era fatta di mani callose e di lavoratori instancabili che portavano la durezza e la purezza di quella terra incise nella carne, sperimentandone ogni giorno il peso e la fierezza. Erano persone guidate da principi nobili e da un’integrità morale incrollabile. Lei incarna proprio questo.
Nelle interviste agli artisti, è comune domandare chi si celi dietro al nome d’arte, indagando la distinzione tra la persona pubblica e quella privata. Nel tuo caso, questa separazione non esiste, perché ti presenti da sempre per quella che sei realmente. Come ha influito questa autenticità sulla tua vita sia privata che professionale?
Oggi mi sento profondamente autentica, una qualità di cui sono immensamente fiera. Questo traguardo è il risultato di un lungo viaggio, un un cammino di consapevolezza iniziato prestissimo che mi ha permesso di essere chi sono davvero. Il mio percorso lavorativo è iniziato a vent’anni, quando mi sono trasferita a Firenze. Lì, da sola, lontana da famiglia e amici, ho dovuto imparare a fare le mie scelte. A 21 anni ho iniziato a lavorare a Videomusic e lì Mariolina Simone è diventata LaMario. In quel frangente cruciale, mi sono interrogata profondamente: chi volevo essere? Un’entità divisa tra persona e personaggio, o semplicemente un essere umano che abbraccia con passione un lavoro che sentivo già mio? Ho scelto la seconda opzione. Non lo nascondo, è stato un processo faticoso. La Mariolina che sono ha un carattere forte, testardo, con spigoli ben definiti. Il punto è che, sul palco o al microfono, ci si aspetta che il personaggio ammorbidisca questi “angoli” non solo intellettualmente, ma anche fisicamente. La mia cifra distintiva è la coerenza, mantengo sempre la schiena dritta e lo sguardo fisso. Questo stesso atteggiamento lo adotto sia nelle situazioni lavorative sia nella quotidianità. Essere fedele a me stessa è una qualità di cui vado fiera, soprattutto ora che mi avvicino ai 51 anni. Eppure, non è stato facile; anzi, mi è costato caro in termini di opportunità lavorative mancate. Forse avrei potuto essere più abile? Col senno di poi, probabilmente sì, ma c’è una cosa che proprio non sopporto: iniziare una frase con le parole “col senno di poi”.
Sei una delle poche persone che conosco che non si lascia condizionare dall’opinione altrui. È una dote innata o qualcosa che hai costruito e raggiunto nel tempo?
Non direi di essere immune alle opinioni altrui. Anzi, le valuto sempre attentamente, le passo al setaccio e solo dopo decido se farle entrare nel mio bagaglio emotivo e culturale. Come diceva spesso Maurizio Costanzo, a cui devo moltissimo: “Solo i cretini non cambiano idea”. E col tempo, ho fatto mia questa profonda verità. C’è stato un periodo, forse nella fiera spavalderia della prima maturità, in cui ero convinta che cambiare idea fosse segno di debolezza, persino di stupidità. Poi ho capito che cambiare idea fa bene, è un passo necessario nell’evoluzione di una persona. Per questo, quando le opinioni altrui sono fondate – magari perché ho fatto una cavolata e mi sono meritata un giudizio sfavorevole – mi fanno male, certo, ma ne faccio tesoro e mi impegno affinché le cose cambino. Però, ed è un’affermazione che faccio con un sorriso, la maggior parte delle volte le opinioni altrui su di me non mi sfiorano minimamente. Semplicemente perché le trovo palesemente fuori luogo, prive di senso e totalmente infondate. Essendo una donna molto tatuata, la maggior parte dei giudizi negativi riguarda proprio i miei tatuaggi. All’inizio, tutto questo mi feriva profondamente, anche perché la mia stessa famiglia non capiva la mia scelta di decorare il corpo. Poi, col tempo, ho capito che si può vivere serenamente in questo mondo, anche circondata da pochi, ma autentici e sani affetti. E ho imparato che le opinioni, semplicemente, vanno e vengono. Oggi le ignoro con serenità, se non hanno un peso specifico che possa realmente toccarmi. Come ho raggiunto questa consapevolezza? Piangendo, disperandomi, sbucciandomi le ginocchia, rialzandomi e imparando a camminare anche sui tacchi a spillo.
Hai un rapporto diretto e senza filtri con il tuo pubblico, spesso anche nei confronti dei “leoni da tastiera”. C’è un messaggio specifico che vorresti inviare ai giovani, oltre a non cadere nelle loro mani, per aiutarli a sviluppare quella forza interiore e la capacità di discernimento che tu dimostri?
Il rapporto diretto con i leoni da tastiera è forse l’aspetto che più mi diverte, persino durante le dirette radiofoniche. Curiosamente, tendo a non leggere quasi mai i messaggi di elogio: mi imbarazzano, mi fanno arrossire e non saprei proprio come replicare. Per natura, preferisco di gran lunga i messaggi più critici: mi permettono di argomentare in un modo che sento più mio e, soprattutto, non mi mettono in imbarazzo come un complimento. I leoni da tastiera rappresentano un circo che ho imparato a conoscere bene; ne ho capito le regole, sebbene siano in continua evoluzione, e cerco di tenermi sempre al passo. Quello che mi spaventa davvero è la presenza dei giovani in questo mondo così finto, eppure così reale per loro. I ragazzi di oggi mi preoccupano tantissimo: li vedo inesperti, fragili, eppure pieni di parole nuove. C’è questo vocabolario fatto di termini come “fluidità”, “inclusione”, “problemi climatici”… ma poi? Nella realtà di tutti i giorni, nei fatti concreti, cosa fanno questi ragazzi? Vivono le relazioni, la vita intera, attraverso uno schermo. Quello che mi preoccupa molto è la corrente di pensiero che esalta il fallimento. So che posso sembrare mia nonna, ma per noi fallire non era contemplato, eppure questo non generava ansia. Un po’ come nel Selvaggio West, dove la conquista era una questione di vita o di morte, non c’era tempo e spazio a sentimenti di paura o angoscia, ma solo quello di trovare una soluzione a ogni problema.
Quest’anno sei l’ospite d’onore della decima edizione del Valsassina Country Festival. Cosa ti aspetti di trovare al nostro festival? C’è qualcosa che ti incuriosisce più di altre?
Sono entusiasta di festeggiare la decima edizione del Valsassina Country Festival! Ho sempre avuto una grande passione per i film western e la musica country, e apprezzo molto come quest’ultima venga rivisitata da artisti pop e R&B. Molti hanno reso il country una matrice fondamentale della loro discografia, e io sono curiosa di scoprire la sua vera essenza, dato che finora l’ho vissuta solo attraverso uno schermo, quasi fossi una nativa digitale. Non ho mai fatto grandi viaggi in America, né ho mai cavalcato. Con i cavalli, ad esempio, ho un rapporto contraddittorio: li adoro, ma a distanza, perché ne ho un po’ di timore. Magari il festival sarà l’occasione giusta per superare questa paura! Adoro la cultura country, la sua gastronomia e le sue iconiche coreografie, che hanno segnato la storia dei videoclip. È come se si chiudesse un cerchio, unendo le mie passioni con la realtà del festival.
Che rapporto hai con la musica country?
La musica country è per me fondamentale. Essendo un’appassionata di musica, ne riconosco le influenze cruciali che hanno plasmato l’intero panorama musicale. Il country, dopotutto, affonda le sue radici in un mix di culture europee, indigene e africane, evidente nell’uso di strumenti a corda come il banjo e il violino. Amo particolarmente i suoi numerosi sottogeneri. Ma ciò che davvero mi affascina è lo spessore dei testi: superano ogni barriera generazionale, raccontando storie di figure forti, indipendenti, determinate, votate all’amore, al lavoro, alla conquista. Sono dei veri “supereroi senza super poteri”. E poi ci sono quelle ballate dal sapore struggente che adoro profondamente. Pensiamoci bene: dal country nascono generi come il rock & roll, il rockabilly, e persino il cantautorato più moderno. Artisti come Post Malone e Beyoncé ne sono stati influenzati, così come la stessa Madonna in alcuni suoi lavori. È un genere che ha ancora poco a che fare con la musica italiana, ma mi aspetto un’evoluzione in questo senso nei prossimi anni.
Sarai chiamata non solo a presentare il Country’s Got Talent ma anche come giurata. Ci sono aspetti specifici del ballo country – magari stili o tradizioni – che ti affascinano particolarmente o che non vedi l’ora di osservare da vicino?
Partiamo dal presupposto che amo follemente – e non conto più le volte che l’ho visto – “Footloose” con Kevin Bacon. Quindi, al Valsassina Country Festival, vorrei assistere a delle line dance pazzesche! Mi aspetto di essere travolta dal ritmo; anche se non sono certo una ballerina provetta, mi piacerebbe molto provare a muovere qualche passo. Guardare un ballo country, una coreografia, è super travolgente. Mi aspetto di trovare perfezione, talento e passione, ma soprattutto l’idea che, alla base del ballo country, non ci sia il classico saggio di fine anno, bensì una passione che nasce da dentro e quasi ti logora. Se dovessi dare una definizione sintetica, il ballo country per me è strettamente connesso a talento, personalità e realtà. Non può essere finzione: o lo senti o non lo senti. Certo, i passi devi conoscerli e impararli, ma poi ci devi credere. È un discorso che si potrebbe fare per tutti i balli, ma nello specifico del country si porta dietro un peso significativo che arriva dalla storia e che non si può assolutamente sottovalutare. Ogni volta che si balla il country, è necessario sentire un senso di rispetto per tutto ciò che c’è stato prima, inclusa quell’incredibile voglia e necessità di libertà che vari personaggi della storia ci hanno regalato.
Come detto sopra, la tua personalità si adatta allo spirito genuino e di fatica della frontiera americana. C’è qualche personaggio storico o figura iconica di quel periodo che ti affascina particolarmente e in cui ti rivedi?
Sicuramente Johnny Cash e Dolly Parton, perché in fondo “porto acqua al mio mulino” con la musica. Se chiudessi gli occhi, vorrei poter tornare indietro nel tempo, osservare da vicino, imparare da loro e, perché no, magari andare in onda nelle stazioni radiofoniche di Nashville. Quella città, che per prima si è occupata di musica country, è un luogo in cui non sono mai stata, ma che conto di visitare prima o poi. A Nashville sono passati tutti i grandi! Mi piacerebbe rivivere quel luogo in quel preciso momento storico, quando è stato attraversato da tutti quei personaggi che hanno segnato il mondo del country: dalla musica al ballo, dal cinema alla letteratura. E magari, perché no, conoscere anche qualche chef dell’epoca!